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tore: una lettera, infine, che odorava di dichiarazione d’amore come odora il bocciolo della rosa sebbene ancora sigillato.
Per vincere la tentazione di portarsela accanto al viso e odorarla davvero, il gobbino riprende a pedalare vertiginosamente, senza vedere altro che la china verdissima dell’argine e in fondo il tremolare dei pioppi confuso con quello dell’acqua gialla del fiume.
Ma non si può correre così dritti fino al mare: la fattoria è nell’interno della valle, e quasi d’iniziativa propria la bicicletta si piega, scivola per il sentiero obliquo della china a destra, imbocca il viottolo fitto di siepi e vi sparisce come nella gola di un pescecane.
Nel viottolo, dopo la grande luce ed il caldo dell’argine, il gobbino provò un senso notturno di freddo, di buio: adesso poi bisognava andare adagio, perchè il terreno era sabbioso ed umido: andò adagio, dunque, e istintivamente, come sicuro di non essere veduto neppure da sè stesso, si avvicinò la lettera al viso. Tutti i suoi sensi si accesero: gli parve di vedere, con una visione esasperata e palpabile fino all’allucinazione, la bruna e grassotta Rachele col viso riverso sotto quello dell’uomo che le scriveva: così gli erano passate sott’occhio centinaia di cartoline illustrate, dalle quali bastava staccare il francobollo per leggervi sotto frasi d’amore doppiamente proibite. E l’impressione, più che il pensiero,