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di scovare Andrea: intanto però Ghiron sconta la sua beffa contro di noi.
— C’è poco da beffare — dico io con tristezza. — Quella povera madre...
Eppure perchè quel dolore lontano s’infiltra nel mio con una perversa vena di conforto? Che io sia per diventare doppiamente disgraziata? Infelice e cattiva? No: ma il constatare che il dolore è retaggio comune, amaramente conforta.
D’un tratto Fausto striscia col corpo sul fieno e mi si avvicina in modo che Billa non senta le nostre parole.
— Senti, ho un progetto: perchè non andiamo, tu ed io, alla Questura centrale?
— A far che?
— Si parla col Commissario Finzi: gli si porta la fotografia che tu possiedi. Vedrai che quello te lo scova. Se tu vedessi che viso ha Finzi: un viso d’aquila.
— Lasciami — dico io, poichè Fausto mi si è aggrappato addosso e pare voglia portarmi subito alla Questura. — Tu sei pazzo.
Ma egli non mi lascia; e d’improvviso lo sento come gonfiarsi; stringe i denti, poi spalanca la bocca, mi morde la spalla, e infine piange come un bambino bastonato. Billa tace, sull’albero: e il pianto dell’adolescente è il pianto stesso del dolore che, come il canto dell’amore, si rifugia nella notte per chiedere a sè stesso il segreto del suo mistero.