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raggi di luna, in pari tempo macchiano inesorabilmente le riputazioni altrui.

Ma io vado oltre, su, su, fin dove la strada è tutta rugginosa di foglie secche, e un gruppo di casolari, vecchi e cadenti ancora prima di essere antichi, si annoda, con le sue siepi nere ed i fienili più alti delle case, in un patto di miseria, di rassegnazione, ma anche di indipendenza. È tutto un mondo a sè, lontano dal mondo, pur così vicino, della gente per la quale la terra non conta se non per metterci i piedi.

Qui la terra è tutta una cosa con l’uomo: dietro le siepi si sente l’ansito del contadino confuso a quello dei bovi e allo strido dell’aratro ancora primitivo: anche i bambini sono piegati fra le zolle, e lo stesso pantalone che la donna seduta sulla soglia rattoppa, pare scavato dal solco smosso, tanto è terroso e umidiccio di linfa.

Il silenzio intorno, nelle aie battute dal tramonto, è grave di odore di concime, rotto dal grugnire dei maiali e dal fruscìo degli alberi che vorrebbe dissipare ed invece accresce la melanconia del luogo.

Ma questa melanconia, lo so bene, è dentro di me: e per romperla vorrei accostarmi alla donna lunga e spolpata che lavora seduta sulla soglia, e domandarle se è felice, se desidera, se sogna qualche cosa: chiederle insomma la spiegazione del mistero della sua vita: ma ella mi