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l’impressione che i suoi capelli siano diventati bianchi.
Mi chiama per il pranzo, con voce sommessa, come se nella casa ci sia un morto. Un impeto di orgoglio mi solleva.
— Vengo subito — grido, e mi slancio giù per le scale come fanno i ragazzi, di volo, aggrappata alla ringhiera.
E quando tutti siamo riuniti a tavola, il coraggio di parlare, di combattere la mia e l’altrui inquietudine, mi accende come un guerriero davanti alla battaglia.
— Non capisco perchè non è venuto, — dico con una voce che non mi sembra la mia, — a meno che non sia malato o non gli sia capitata una disgrazia.
— Dio non voglia. Del resto, se era malato avrebbe mandato ad avvertire.
— E se gli è capitata una disgrazia? — io insisto. — Ricorda quel tuo collega che la scorsa domenica è andato sotto un’automobile.
— Era vecchio e non ci sentiva. Macchè disgrazia! Avrà avuto qualche impegno; forse l’affare che doveva concludere sabato l’avrà rimandato ad oggi.
— No, no. Allora sarebbe venuto ieri, o avrebbe mandato un espresso. Io credo invece che gli sia accaduto qualche cosa di triste, oppure...
— Oppure?
— Che non voglia tornare più.