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tare: e la speranza riaccese anche il cuore della donna.
Ma che cosa era questa speranza? Che la tortora, la più umile e timida creatura di Dio, guarisse; o che l’anima sua, la più alta creazione di Dio, si riaprisse alla grandezza della vita?
— Voglio salvarti, anima mia — promise all’uccello; ma la promessa era davvero all’anima sua.
E tornò a sognare: adesso andava dal veterinario. Col suo cappellaccio da uomo calato sugli occhi, lo spolverino a cinghia, aveva nascosto la tortora sotto la sciarpa, e camminava rasente ai muri per sfuggire alla persecuzione dei ragazzi; ma questi la seguivano, e quello del pane le gridava:
— Dio ti castiga perchè non mi hai fatto una sola volta accarezzare quella là.
Arriva alla casa del medico delle bestie e le tocca di fare anche anticamera: c’è un vecchio con un pappagallo che geme come un bambino; c’è una signora elegante con un levriero ferito; c’è un giovane studente che si piega quasi piangendo su una scimmietta moribonda.
Ella siede accanto alla vetrata aperta; ma questa è proprio la vetrata della sua terrazzina, sopra la cui balaustrata, in una cassetta colma di terra dove il gelo ha fatto seccare i gerani, spuntano dei fili argentei: è il grano per il