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— Tu non mi vuoi più, lo vedo, perchè io pensavo di tradirti, andarmene di nascosto, lasciarti sola, in balìa dei monelli della strada. E tu ti vendichi, anima mia. Eppure la nostra vita era bella ancora, nel suo grigiore, quando la fede in Dio non mi mancava e tu stavi nel mio grembo come nel tuo nido. Sole ed eguali entrambe, eravamo, in una vita di esilio, tu e io lontane dai nostri simili, tutte e due senza amore, eppure felici l’una dell’altra.

Si assopì, con l’uccello finalmente assopito contro il suo seno: e sognò la madre e un paradiso strano, allucinato, con un grande albero primaverile alla cui ombra diafana sedevano i parenti: la sorellina di sei anni giocava ai loro piedi; la tortora, fra i rami piumati d’oro, aveva trovato un compagno col quale tubava d’amore. Ma la madre le parlava severa:

— Tu volevi morire senza che Dio avesse segnato il giorno: e tu non farai mai più parte della famiglia.

Si svegliò tutta infreddolita, ma con un senso di sollievo: era in tempo ancora a salvarsi dalla minaccia della madre.

Riaccese il fuoco e preparò due bottiglie d’acqua calda: una per sè, una per la tortora, alla quale fece una specie di nido sulla poltrona ai piedi del letto. L’uccello, lasciato a sè, riprese la posizione della cova; il tepore della bottiglia gli scaldò le piume, il piccolo petto tornò a palpi-