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lini già ripuliti da Giglina; ma ho un senso di nausea: mi pare che mai più il cibo possa entrare nella mia bocca.
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Dopo un sospiro, la mia amica seguitò a raccontare.
Poi torno su, ricomincio ad aggirarmi nelle camere e sento di essere come un tossico che serpeggia nel corpo di un malato: la quiete della casa è avvelenata dalla mia inquietudine.
Le ore passano con me, sinistre compagne della mia pena; sento di nuovo i vicini di casa ronzare come un popolo d’insetti felici sotto il fogliame primaverile; ricevono visite, ridono, prendono il gelato: i bambini schiamazzano. Li invidio e li odio. Mi pare che loro tutti si beffino della mia angoscia, vendicandosi della mia prima indifferenza verso la loro semplice felicità.
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Giglina è tornata e apparecchia la tavola: ha scambiato poche parole col padrone e non fa osservazioni; ma d’un tratto me la vedo comparire davanti, lunga, mortificata, ed ho