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giovane ancora: le mani sono lunghe e belle, i piedi piccoli; le linee del corpo, sotto le pieghe del vestito fratesco, si rivelano possenti e statuarie.
È una bellissima morta: una di quelle figure classicamente funebri che si vedono sulle tombe di lusso, nei reparti aristocratici dei cimiteri moderni.
Non ispira quindi pietà, ma piuttosto un senso di ammirazione: è il mistero stesso del riposo; la vita che si ferma e si eterna nel sonno della morte, o meglio la creatura umana che arrivata al limite della sua strada non si atterrisce, ma si piega e si distende sulla soglia dell’eternità.
Don Felis la guarda, e dopo il suo primo stordimento ritrova anche lui un senso di pace, quasi di gioia.
Gli sembra di essere ritornato studente, quando i libri e le figure stampate gli spiegavano tante cose. La luce dell’intelligenza, non ancora ottenebrata dalle passioni, dai vizi e dagli errori, s’è riaccesa in lui, al riflesso del piccolo cero.
— Si aspetta il medico — egli pensa — e dopo di lui, se Dio vuole, verrà anche un pretore. Ma forse basterà il medico: egli dichiarerà che questa donna è morta di paralisi al cuore. Anche il nipote di lei ha detto che la poveretta soffriva di asma. Se però venisse anche il pretore affermerebbe che il cuore della suora ha cessato di funzionare per lo spavento che le ha destato l’anima mia mostruosa. Ella, che ha vinto le