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piamente per la sua pena, ma sento che bisogna alleviarla nascondendo la mia com’egli tenta di nascondermi la sua.
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Scendo giù da lui, seguìta dai ragazzi che presentendo anch’essi qualche cosa di fatale non parlano più ed hanno gli occhi pieni di curiosità e di spavento. Il babbo sta seduto accanto alla finestra del salottino da pranzo e legge il giornale: ha gli occhiali e sembra calmissimo, troppo calmo veramente.
Poichè io non riesco a parlare egli solleva gli occhi di sopra le lenti che tiene un po’ giù sul naso, e domanda:
— A che ora ti aveva detto che veniva?
— Non ha precisato l’ora, ma io credevo che venisse come sempre alle cinque.
— Può darsi che venga più tardi; sono appena le cinque e tre quarti — egli osserva, e si rimette a leggere il giornale.
Basta il suono della sua voce per riaccendere la mia speranza; però c’è qualche cosa in aria che toglie il respiro.
Anche i ragazzi si ritirano, si nascondono come gli animali all’avanzarsi di un’eclisse di sole; io vado in cucina, tento di fare qualche cosa, metto su l’acqua a bollire per cuocere i fagiuo-