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Lisendra corse sul breve spiazzo dove la suora stava ancora appoggiata alla tavola.
— È qui, è qui.
Era Lisendra che rispondeva: ma fu anche suo il grido acuto che seguì e che, per la sua vibrazione speciale, fece tacere il chiasso sotto la tettoia: grido significativo, come di uno che, in pericolo di morte, domanda soccorso pur sapendo di non ottenerlo.
Don Felis balzò come una palla di gomma, spinto da una violenza misteriosa che lo sbattè contro la finestra: ma ebbe paura di riaprire le imposte.
Sentì fuori gli uomini che dalla tettoia correvano dietro la casa e circondavano Lisendra e la suora.
— È morta.
— Ma che ha fatto?
Sgorgarono i più disparati commenti; il marito di Lisendra, mentre lei sola taceva, si affannava a raccontare l’arrivo strano della cieca e il suo indugiarsi alla tavola del forestiero; allora don Felis fu costretto ad aprire la finestra per difendersi.
— Ma io l’ho lasciata lì tranquilla a finire di bere il suo vino.
Lisendra aveva acceso il lume, e la luce lilla dell’acetilene illuminava sinistramente il quadro: i visi degli operai avvinazzati vi apparivano rossi e violenti, in contrasto con la macchia bianca