Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 215 — |
Felis la madre lontana, agitò il bastone e mosse le palpebre sul vuoto azzurrognolo degli occhi.
— Non sono sola, figlietta mia; l’angelo mi accompagna.
Il forestiero sorrise beffardo.
— Già, come Tobia, già!
— Proprio così — rispose la donna, tendendo la mano come per afferrare l’invisibile compagno e presentarlo agli increduli.
Lisendra a sua volta la prese per il braccio e tentò di portarsela via, di là, nella casa; ma la suora resisteva, e d’altronde don Felis la invitava a restare.
— Porta una sedia, Lisè, ed anche un mezzo litro di quello buono. Posso offrirvelo, suora Cetta? O l’hanno proibito pure a voi?
La suora gli si accostò, fino a toccarlo, guidata dal suono delle parole di lui: e gli parlò in modo strano, piegandosi, con accento sommesso di confidenza.
— E chi può proibirmelo? I dottori? I dottori non sanno nulla; e il vino è santo: è il sangue di Cristo.
— Oh, va benissimo! Adesso c’intendiamo proprio. Qua la mano. Lisendra, portane un litro, di quello rosso di Marino: vero sangue santissimo.
Così la cieca sedette alla tavola dello straniero; ed egli non si pentì del suo invito, poichè Lisendra disse: