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del sambuco dava l’illusione di trovarsi in cima ad una collina.
Don Felis mangiava la frittata di piselli, alla quale Lisendra doveva aver mischiato dello zucchero perchè sembrava un dolce; beveva la fredda e melanconica acqua Lancisiana, e di tanto in tanto sollevava la forchetta come un tridente, minacciando qualcuno nascosto nell’ombra.
Era il suo stesso fantasma che egli minacciava e irrideva.
— Oh, don Felis, a questo ti sei ridotto, a nutrirti di pisellini come gli uccelli, e bere il vino bianco naturale; tu che masticavi la carne cruda e bevevi l’acquavite nella tazza grande. Va, va al diavolo: vattene via di qui, miserabile; va ad impiccarti al fico, nel cortile di casa tua. Perchè continui a fare questa vita, quando tu stesso sai che non c’è speranza di miglioramento?
Una sera che il lume, per desiderio di lui, non era stato acceso, poichè il crepuscolo sfolgorante dava alle cose come una luce loro propria, mentre egli si disperava e discuteva col suo fantasma, una strana figura apparve nel sentieruolo che s’inerpicava sulla china dell’avvallamento.
Saliva su piano piano, tastando la terra e i cespugli intorno con un lungo bastone, come fanno i ciechi: dal vestito marrone stretto alla