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dono il carattere natio senza acquistare quello del nuovo paese.
Alcuni parlavano ancora il dialetto di don Felis, ed egli li ascoltava con un senso di nostalgia, come definitivamente esulato anche lui dalla sua terra, alla quale non sapeva se la vita gli avrebbe concesso di ritornare; se poi essi cominciavano a canticchiare o se uno di loro suonava la fisarmonica, egli cadeva in una specie di sogno.
Mai aveva provato una cosa simile; e questo ripiegarsi sul vuoto del suo passato lo riconduceva quasi nella profondità del passato stesso, all’illusione di potersi sollevare e ricominciare una nuova vita.
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I casari erano gli ultimi ad andarsene. Allora Lisendra dava da mangiare alla sua famiglia raccolta intorno alla tavola della cucina, e preparava la cena per don Felis.
Egli adesso sedeva davanti alla sua tavola sullo spiazzo sopra l’avvallamento. La tovaglia pulita era per lui, il bicchiere di cristallo, le posate di stagno, tutto per lui; un lume ad acetilene inondava con la sua luce lilla il crepuscolo verd’azzurro, e l’odore agreste della mentuccia e