Pagina:Deledda - La casa del poeta, 1930.djvu/215


— 209 —

me. Si abusa, e allora viene il momento della resa dei conti.

Pausa. Ce n’era già forse abbastanza, per le conclusioni dello specialista: ma l’uomo che si confessava, di natura alquanto crudele verso gli altri e verso sè stesso, riprese inesorabile:

— Poi non bastano le donne: gli affari vanno bene, si fa qualche viaggio, ci si diverte e strapazza a modo nostro in città; poi si ritorna a casa e per ammazzare la noia, o meglio il vuoto che comincia a farsi dentro di noi, si gioca. Si piglia gusto anche al gioco: si perde, si vince, si sciupano le notti e la salute. Allora ci si arrabbia, si attacca lite con tutti; viene l’insonnia, la tristezza, la disperazione. Si è, infine, come una ruota uscita dal pernio.

Soddisfatto per la sincerità sobriamente colorita di filosofia e quasi anche di scienza del caratteristico cliente, lo specialista domandò:

— Perchè non ha preso moglie?

— Chi gliel’ha detto, che non l’ho presa? Già, l’ho presa, e forse è stata una delle cause del male. Donna santa, venerabile, appunto per la sua santità è stata l’unica donna che non ha corrisposto ai miei bisogni fisici e morali. Fredda e sterile ha vissuto con me venti anni come una statua di ghiaccio, tutta di Dio, mentre io appartenevo sempre più al diavolo. Lo scorso anno è morta, senza accorgersene, come non si era mai accorta di vivere. Eppure la sua scomparsa