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quel cordame di trecce fuligginose che pareva le imprigionasse la testa e non le permettesse di muovere i lineamenti neppure sotto la scossa del riso, si sentì come trasportato nel tempo: le ombre davanti ai suoi occhi si diradarono, ed egli si rivide giovane, poderoso, con la vita al guinzaglio.
— Oh, Lisendra, come andiamo?
— Oh, don Felis, come mai qui?
— Eh, al solito, per affari.
— Come sta donna Mariangela?
— Benone: sembra una ragazza di venti anni e lavora come un servo contadino.
— Dio la conservi cento anni.
— Dio lo voglia: e tuo marito come va?
— Lavora anche lui. È giù coi ragazzi al caseificio. Adesso c’è anche una grande vaccheria, quaggiù, vede, quel caseggiato bianco che sembra una caserma? Lavoro, quindi, ce n’è per tutti. Si metta a sedere, don Felis; che cosa le posso offrire?
— Niente, per adesso: solo vorrei una cosa da te, Lisendra sempre bella. Non hai modo di alloggiarmi? Non voglio andare all’albergo, perchè gli alberghi a me danno una melanconia mortale. Oh, selvatici siamo e selvatici resteremo.
La donna rise ancora, con quel suo caratteristico riso quasi di belva, intelligente e barbaro assieme: indovinava che sotto le parole del suo antico padrone si nascondeva un mistero.