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vano l’uomo, seduto davanti alla tavola già apparecchiata, tentava di rassicurarla.

— È il cane del mio collega, il fattore Brighenti, che me lo ha regalato perchè lui ha preso un cane da caccia, che con questo qui, gelosi l’uno dell’altro, non smettevano di azzannarsi. Questo però è una brava bestia.

La donna non rispondeva; rispondeva però il cane, con un tremito ed un lieve ansare di gioia.

— Vedi, capisce che si parla di lui: è più intelligente e buono di certe creature battezzate.

— Egli parla di me — pensava la donna, ma non apriva bocca. Non sapeva perchè, la presenza del cane le dava un senso d’incubo, quasi di terrore: quindi, le parole dell’uomo, mentre lei lo serviva a tavola, la turbarono maggiormente.

— Adesso gli darai da mangiare: così farete amicizia. Su, Leo.

Il cane volse la testa severa verso la donna e parve scrutarne le intenzioni; poi, ai richiami insistenti del padrone, si alzò e sbadigliò. Era, il suo arrendersi, un modo umile e quasi tenero di dar ragione all’uomo che gli voleva bene: quella che non si arrendeva era la donna; anzi ella sentiva aumentare la sua pena ostile; poichè non era più paura, la sua, non dispetto, neppure odio, ma una passione più inumana e tormentosa: era gelosa del cane, come questo del suo compagno.