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IL TERZO


Vivevano felici, nella grande gabbia di vimini che arieggiava una pagoda, i due sposi canarini: lei sottile e mite, di un giallo acerbo con riflessi iridati, lui più grosso, colorito di zolfo e verderame, vivace e quasi turbolento. Mai fermo un minuto, di qua, di là, da un bastoncino all’altro dello stabilimento a due piani, tutto il giorno a cantare: al suo trillo cristallino faceva eco quello più tenue e commosso della femmina: e al loro colloquio si univa un continuo piluccarsi e amarsi.

Quando c’è l’amore c’è tutto: quindi la coppia non sentiva la mancanza della libertà: e che fantastica libertà, nella foresta lontana, dove le foglie, anche di primavera, Dio le ha, come un orefice, create tutte d’oro, perchè i canarini vi possano meglio nascondere la loro felicità.

D’altronde, il posto donde pendeva la gabbia era tiepido e gaio; un portico rustico, arioso e soleggiato, che si apriva su un orto pieno di alberi da frutto. Bello, quest’orto, in primavera quando gli erbaggi freschi sembravano di cri-