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nelle membra adesso arrugginite la prontezza dell’amore materno, se nonostante la noia e il disagio del momento si coprì alla svelta e scese giù rapida la scala fredda, col lume la cui fiammella spaurita voleva volar via come un piccolo uccello rosso. Anche l’uscio della camera terrena s’era spalancato e si divertiva a sbattersi contro la parete. Ogni cosa era in movimento: solo la bambina, chè tale sembrava col suo visino bianco e gli occhi turchini da bambola, stava immobile, in una specie di covaccio che s’era formata con la coperta e i guanciali, e piangeva senza lagrime.

La padrona le toccò subito le orecchie, sotto le treccioline gialle.

— Febbre non ne hai: sei fredda, anzi; perchè strilli così? Hai paura?

— Sì, sì — disse l’altra, afferrandole il braccio. — Là, là...

— Che c’è là? Dove?

— Là, dentro il baule... C’è un lupo.

La padrona rabbrividì ancora, volgendosi a guardare il baule: ricordava l’ululo sentito prima del pianto della servetta, e credette storditamente alle parole di questa. Un rigurgito di rimorso e di angoscia le salì dal cuore. Un lupo in casa? Un lupo magari diverso dagli altri, piuttosto lupo fantasma che lupo vero, infine un essere misterioso apportatore di scompiglio e di ansia, chiuso non si sa come nè perchè nel baule di famiglia,