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trastarle la sua proprietà; infine ficcava il becco nella carne, la strappava a piccoli brani e l’ingoiava lentamente.
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Nella bella stagione, spesso comitive di gitanti salivano per visitare la rocca. Al rumore delle automobili che si fermavano nello spiazzo, l’aquila squittiva e si agitava: nel sentire Elia che andava ad aprire, svolazzava giù, pesante, aggressiva come un cane da guardia, e quando egli, per evitare una spiacevole emozione ai visitatori, la chiudeva nel cortile, non potendo far altro batteva il becco contro la porta o si strappava qualche scaglia di pelle dalle zampe forzute.
Nel rientrare contando le mancie, Elia la trovava ancora agitata.
— Che vuoi che ti portino via, mascalzona? Le pietre, o le catene infisse al suolo nei sotterranei? Non ci sono neppure più i vetri: il vento se li ha sgretolati come caramelle di zucchero d’orzo.
Era vero. Nelle notti di luna i vetri apparivano come pagine bianche con larghi schizzi d’inchiostro nero; e nell’autunno, quando le comitive lasciavano in pace il luogo, il vento irrompeva