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Dico serva per modo di dire, poichè questa Giglina era per noi più che una parente, e ricordandola adesso, a distanza di anni, mi pare un personaggio fiabesco, una figura di sogno. Nei miei sogni ancora ella ritorna infatti, e nel quadro della mia realtà interna ha il posto che le fantesche bibliche occupano in certi quadri antichi dell’Ultima Cena. Era la nostra provvidenza, il braccio destro della casa. Ci amava? Io non lo so ancora; non ci accarezzava nè baciava mai, rude piuttosto; e Fausto e Billa avevano paura della sua scopa. Era una della Sabina, forte, sebbene già anziana; e nel profilo fine, lucido, come d’argento molto usato, nelle trecce bionde attorte, nell’aria stanca del viso, aveva ancora l’impronta della sua vecchia razza: dava del tu a nostro padre ma non parlava con lui se non interrogata.

Quel sabato lavorò per dieci donne: lavò i pavimenti; spostò mobili pesanti, lucidò gli ottoni; e con lei lavoravo anch’io, mossa da una forza alata come quella degli ubbriachi. Misi a posto la biancheria e i vestiti; ecco, i miei sono tutti nel mio piccolo armadio, nascosti dietro lo sportello a specchio, come le fanciulle di una leggenda raccontata da Giglina.

«Queste fanciulle, dunque, avevano tutte dato convegno all’amante in un angolo del bosco, dietro il ruscello; e vi arrivarono una dopo l’altra senza vedersi perchè non avevano testa: la testa