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aperte come un uccellino che vuol tentare il primo volo. Di bambino divenuto ragazzo, si era poi allungato e imbrunito; ed un giorno di autunno, dopo la solita assenza estiva, il ciabattino lo aveva veduto irrompere fuori del cancello come un giovane levriere sfuggito al laccio, alto e agile, con le gambe nude ed un pacco di libri sotto il braccio.
Andava a scuola: e tanto andò a scuola che si trasformò in professore. Neppure sotto questo aspetto si impose al sor Pio: era troppo bello, troppo fresco, troppo fortunato, per farsi amare o almeno rispettare da lui.
C’erano giorni, anzi, che l’odio più schietto e le imprecazioni più romanesche del vecchio troglodita lo accompagnavano. Erano i giorni di sole, d’inverno, quando l’uomo sbucava dalla sua caverna come l’ippopotamo dal fondo melmoso del fiume, e, trasportati i suoi strumenti e le sue ciabatte sul marciapiedi caldo, mentre con le mani e con la bocca lavorava di lesina, di spago, di pece e di rabbia, vedeva a fianco del villino di fronte, in uno spazio battuto e recinto ad uso sportivo, il giovine, vestito di bianco e con le scarpe di silenzio, esercitarsi con gli amici e le amiche, ai giuochi più snodati e smossi. Tutti erano vestiti di bianco, anche le ragazze, fatte della sola bellezza efebica del loro viso, sospese sempre sulla punta dei piedi e con le braccia frullanti come le stecche iridate delle