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di una casa in costruzione, e le serve, d’intesa ferrea fra di loro, domandarono l’aumento dei salari.
Sebbene orgoglioso di quest’ultimo risultato, il sor Pio guardava egualmente arcigno le intraprendenti ragazze: anzi le odiava più che i loro stessi padroni: eccole lì che scendono come alci la scaletta del sottosuolo dove lui, circondato dalla plebaglia delle scarpe sgangherate dei clienti che possono aspettare, lavora vestito di cuoio, cupo, duro e tondo più di un rinoceronte: scendono mettendo in vista fin dove si può le gambe calzate di rosa, con pacchetti bene avvolti fra le mani massacrate dai geloni.
— Oh, bellissimo sor Pio, bisogna che questi tacchi siano pronti per stasera: altrimenti il signorino mi accoppa.
— Andate a morire ammazzati, tu, il tuo signorino e tutta la sua razza ruffiana e bastarda.
La cameriera, una biondina anemica per il troppo ballare, svolge dalla carta gli scarponcini gialli col tacco appena ròso, e tenta di sedurre l’uomo parlando male dei suoi padroni.
— Buono, sor Pio, non è oro tutto quello che luce. Il signorino, con tutto il lusso della madre e il da farsi del padre, non ha che questo paio di scarpe. Adesso è in casa che studia, in pantofole.
Il ciabattino dà uno sguardo di traverso, prima alle scarpe in questione, poi all’esercito boccheg-