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si vedono ancora le quercie verdi, l’erba sanguinante di papaveri, i canneti glauchi, le macchie gialle della ginestra fiorita.

È la sera di San Giovanni: si sentono già i rumori della festa, lo strido selvaggio delle cornette e qualche sparo: d’un tratto un fuoco si accende come da sè sulla china opposta della valle, e illumina il paesaggio con un riflesso rosa.

— Bisogna che vada, — egli dice, riversandosi invece sull’erba. — Perchè, perchè non possiamo stare sempre così? Perchè non possiamo sposarci stanotte e dormire qui? Domani, — riprese, sollevandosi di scatto, — domani non posso tornare: esco tardi dall’ufficio e adesso siamo lontani. Verrò dopo domani, domenica. Vuoi darmi un bacio?

Poi ridiscendiamo il sentiero, ed egli se ne va, nella sera incantata.

*

L’incanto durò fino alla domenica seguente.

Il sabato venne il tappezziere e mise le tende: una lieve penombra ondulò sul fulgore delle stanze, come il velo sopra la culla dei bambini. D’altronde era necessario, perchè già le mosche si precipitavano dentro casa, con disperazione di Giglina, la serva.