Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 115 — |
*
Un giorno il padrone si ammalò e mandò a chiamare il parroco per confessarsi. Il prete era giovane, intelligente e spregiudicato: non si meravigliò quindi per la straordinaria abbondanza e varietà dei peccati del ricco vecchione; ma quando si giunse alla fine e vide il grande viso grigio e barbuto del malato solcarsi di ansietà, e gli occhi chiudersi forte come per un dolore fisico, indovinò che altro e di ben grosso c’era.
— Altro?
L’uomo riaprì gli occhi, che in quel momento rassomigliavano a quelli del cavallo quando riflettevano la valle dorata dal sole.
— C’è questo. Mio figlio Alessio, quello morto in guerra, desiderava un cavallo da corsa. C’era un mio compare, non ricco, ma onesto e laborioso contadino, che ne possedeva uno: un puledro natogli per caso dalla giumenta da tiro, già domato, bello e rapido come una saetta. Vado e dico: — Compare, vendetemi il puledro; lo chiameremo Fortunato, e tale sarà. Per i denari, grazie a Dio, non avete che a dire una cifra.
«Così dicendo, — proseguì il malato, richiudendo gli occhi, — io toccai la cintura, dove te-