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giovane morello, recandosi alle corse paesane, delle quali vinceva immancabilmente il primo premio: e il cavallo, che il vecchio possidente teneva sacro come un ricordo del figlio morto da valoroso in guerra, pareva ricordasse il passato, perchè nel sentire l’odore dei canneti della valle protendeva di qua e di là la testa melanconica, aprendo le froge e respirando forte. Quando poi la strada sboccava sullo stradone, a mezza costa del monte, dove la lunga vasca d’acqua bruno-verde dell’abbeveratoio invitava alla fermata, i suoi occhi si animavano e raccoglievano il riflesso della grande valle chiara di vigne, di olivi, di seminati: poi si volgeva per bere, svogliato e lento, mentre il servo che lo conduceva, anche lui vecchio, anche lui mezzo pensionato nella casa del ricco padrone, scambiava qualche parola coi radi passanti che scendevano dal paese o vi risalivano.
— E questa bestia, dunque, ancora campa?
— Pare di sì, se ancora beve e mangia.
— Ma di’ al tuo padrone che lo mandi alla concia, e i soldi che spende per mantenerlo li passi a me.
— Va, e prova a dirglielo tu, se ne hai il coraggio. Del resto, neppure alla concia ci vogliono oramai, caro compare Fortunato.
Al colpo della manaccia del servo il cavallo trasaliva, sollevando la testa, e le gocce che gli calavano dalle narici parevano lagrime.