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Gabriele sollevò il viso mortificato con gli occhi scintillanti di speranza.
Il mare non è vicino al podere, ma neppure così lontano da non arrivarci in bicicletta: ed egli corre a prendere proprio la bicicletta sulla quale il capoccia è andato a caccia nella pineta del lido. Nell’ingresso della casa colonica, dove stanno appoggiate alla parete le biciclette dei contadini, c’è una insolita confusione: i bambini bisbigliano, spiando intorno ad un uscio socchiuso; dall’uscio di contro vien fuori una donna pallida, con un bicchiere d’aceto e uno straccio in mano; il secondo gemello, congestionato in viso, con gli occhi di vetriolo, balza davanti a Gabriele e gli dice a denti stretti:
— Sei tu che hai ferito mio fratello? È svenuto e forse muore.
Gabriele porta fuori la bicicletta: l’altro cerca d’impedirglielo e riceve, con una spinta che gli fa mancare il respiro, questa formale promessa:
— Se non la smetti ti dò tanti di quei cazzotti che svieni tu pure.
E via sulla bicicletta fulminea, verso la marina, in cerca di pesciolini vivi per l’uccello ferito.