Pagina:Deledda - La casa del poeta, 1930.djvu/114


— 108 —

punta di quella sana sopravanzò la breve coda, apparve tuttavia bellissimo, con la testina bruna coronata di una stella d’argento, le zampine palmipedi, e due grandi occhi tutti neri nei quali a Gabriele apparve per la prima volta il mistero del dolore senza speranza.

Egli s’inginocchiò; prese l’uccello e se lo strinse al petto; lo sentì palpitare contro la sua mano; e gli parve che il suo cuore rombasse.

Poi si sollevò, inquisitore, feroce.

— Perchè tuo padre ha sparato contro quest’uccello?

— Che ne so io? Perchè era a caccia.

Con la mano libera Gabriele afferrò il polso del ragazzo e si piegò quasi volesse morderlo.

— Piantala, con quegli occhi! — urlò. — Non voglio essere guardato così. E rispondi: perchè tuo padre ha portato a casa quest’uccello? Da mangiare non è buono.

Allora l’altro gemello, ch’era rimasto a rispettosa distanza, gridò:

— Per quello che gli pare e piace.

E sparve. Gabriele non si degnò neppure di guardare da quella parte; le sue unghie mordevano il polso del ragazzo, i suoi occhi se lo divoravano vivo. Smarrito, il gemello cercò di difendere il padre.

— Lo ha portato a casa per farci divertire.

Mai avesse parlato così. Gabriele gli torse il braccio e cominciò a farlo girare attorno a sè,