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seminudi, non vedeva che una umanità inferiore, animalesca.
Forse per legge di contrasto, gli piacevano invece le bestie: eccolo incantato a guardare i monumentali giovenchi grigi, ancora aggiogati, all’ombra di un platano, dopo la fatica della prima aratura. Sono ancora ansanti, con le grandi corna nere eguali e perfette come levigate da uno stesso artista, gli occhi rassegnati e buoni.
E le anatre, le oche maestose, i pulcini d’oro, il cane mattacchione, i gatti semiselvaggi e ladri, la donnola legata e irrequieta che guardava con occhi scintillanti come goccie di rugiada nera, tutti gli piacevano e lo stupivano.
Una mattina stava appunto da un quarto d’ora a spiare chino sul basso della siepe una piccola talpa che si affacciava ogni tanto tra le foglie come anch’essa spiando quel lungo e ignoto animale innocuo, quando sentì i due figli gemelli del capoccia vociare a poca distanza, contrastandosi un oggetto del quale non si capiva la natura. Le loro voci, già aspre e violente, lo avevano altre volte irritato; poichè i due ragazzi, che litigavano sempre, avevano pretese da padroni, e si trovavano d’accordo solo nel maltrattare gli altri bambini.
Lasciò dunque il suo posto di osservazione e si allungò per veder meglio: e subito si fece rosso in viso e digrignò i denti.