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Ci affacciamo alla balaustrata, e nel cerchio del braccio di lui, che cinge la mia persona, io mi sento come il filo dentro la perla della quale partecipa allo splendore. Di fuori non vedo più nulla, o vedo il panorama come i miopi, a macchie, sfumato e fantastico. Se egli si volesse buttar giù io lo seguirei, dentro il suo braccio, come il suo braccio stesso, felice solo ch’egli mi considerasse appunto, anche nella sua distruzione, una cosa esclusivamente sua.
Ma egli non pensa a gettarsi giù; è calmo, fermo anche nel suo desiderio di me, padrone di sè stesso come lo è della sua piccola fidanzata.
Per togliermi dall’incanto quasi angoscioso che mi lega anche lo sguardo, dico sottovoce:
— Laggiù, vedi, sotto quella linea di cipressi velati dall’azzurro della pianura, c’è la mia mamma, ci sono i nonni. Io salirò spesso quassù per stare con loro.
— Per adesso stai con me, — egli dice, — i morti coi morti, i vivi coi vivi.
— Per me la mia mamma è sempre viva: soltanto che è lontana, ma io penso ed agisco come se ella mi fosse vicina.
Egli si solleva e mi trascina con sè di corsa fino alla balaustrata opposta, donde si vede tutta una città nuova, una città quasi orientale, tanto le case e i palazzi sono bianchi e i giardini pieni di cedri del Libano, di palmizî e di gigli