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don eveno | 87 |
gnato stanotte, Fidele Coda di sorcio?
Uh! Ch’ero diventato ricco, ricco come il padrone. Che bellezza! Aver le scale dipinte e sette paja di scarpe! E sposare Mikela, la nipote del padrone. No, quella non la voglio. È una sciocca. Meglio la figlia di Francesco Rovedda, che è grassa come un porcellino. Mikela è più bella, ma è troppo magra.
Lustrando le unghie del cavallo, Fidele continuò a sognare, scegliendosi una sposa fra le più belle ragazze del villaggio; e tornava sempre col pensiero a Grazia, la figlia di Francesco Rovedda, ch’era rossa come lo scarlatto e robusta come una quercia secolare. Gli sembrava vero vero. Ma ad un tratto i vetri di una finestra, che cominciavano ad esser meno opachi e freddi, tintinnarono e vennero aperti.
La testa di don Evéno comparve, e Fidele si ritrovò davanti alla sua dura realtà.
— Ancora in faccende sei? Sbrigati, Coda di sorcio — disse il dottore dalla finestra.
Fidele fece una specie d’inchino, ma fra sè esclamò:
— Coda di sorcio, Coda di sorcio! E lui che cosa è? Coda di gatto?
E rise fra sè, cercando la bella gualdrappa di velluto nero ricamata.