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DON EVÉNO


Albeggiava appena allorchè Fidele Coda di sorcio si mise a strigliare e lustrare il cavallo del dottore.

Nell’ampio cortile grigio il lastrico di granito era tutto umido di rugiada, e i calci che vi sferrava il cavallo destavano quell’eco speciale che hanno i rumori nelle albe molli e serene di primavera. La gran casa del dottore taceva, e i vetri chiusi, freddi, senza riflessi, parevano lastre di latta, ma al di là dei muri si sentiva la campagna verde ridestarsi perchè cento piccoli rumori giungevano col brivido puro dell’aria imbalsamata.

Fidele, con gli occhi gonfi e semichiusi, sbadigliava, tristemente. Era un giovinotto pallido, magro, dal sorriso cattivo e maligno; vestiva in costume, ma invece della lunga berretta sarda teneva in testa un gran cappellaccio cenerognolo, con un foro nel centro e le falde rosicchiate.

Grazia Deledda, L’ospite. 6