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di rose d’ogni mese, e nel vano c’era un tavolino con sopra dei vecchi giornali e l’occorrente per scrivere. Ed era su questo tavolino, davanti alla visione del paese solitario, chiuso dalle grigie montagne, nella cornice fresca delle rose che talvolta venivano a baciare i vetri chiusi, che Margherita scriveva a Boly, nelle ore della notte, o in quelle della siesta.

Benchè Petrina avesse acceso i lumi ed il fuoco, nessuno entrò nel salottino, siccome i padroni restavano di là, nella stanza da pranzo.

Petrina se ne accorse, e disse alla padrona:

— Ho fatto il fuoco, dentro.

— Sta bene! — e voleva passare di là; ma la pregarono di non far complimenti, e non si mosse.

Tutti chiacchieravano nella stanza da pranzo, e venivan serviti dolci, vini e frutta. I ragazzi continuavano a far dei giuochi, con l’orzo, col piombo fuso e in tanti altri modi; e, siccome levavano un chiasso indemoniato, la padrona disse:

— Ih! Non si sente la madre col figlio! Fatemi il piacere di andarvene dentro!

I piccolini presero i loro bagagli, e se