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don evèno 111

il fremito gelato dell’altro giorno tornava a serrarle la gola.

E don Evéno proseguiva, ma lei non riesciva a intenderne le parole. A un tratto un’orribile idea venne a scuoterla. «Zio Evéno voleva mandarla via, e lo faceva in questo modo pulito.»

— Uccidetemi meglio! — pensò. Due grosse lagrime le rigarono le guancie, e tutto il suo volto si scompose.

Solo allora don Evéno ne ebbe pietà e terminò la sua orribile commedia.

— Mikela, Mikela mia, — disse, prendendole una mano, — perché piangi?

Essa singhiozzò più forte, e sotto lo sguardo di lui, che si faceva vivo e ardente, provò un’acuta angoscia ch’era una intensa voluttà. Gli nascose il viso sul petto, e per due o tre minuti i suoi singhiozzi si fecero più forti, come singulti di bambina, scuotendola tutta quanta.

Egli si pentì di averla così addolorata, di non aversela presa tra le braccia fin dalla mattina, dicendole che l’adorava, che l’aveva chiesta in isposa a sua sorella, dopo la lettera datagli da Fidele, ma nello stesso tempo gustò intensamente il piacere di vedersi tanto amato, amato così, fino allo spasimo della disperazione......

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