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don evèno 109


zo. Come la sera in cui l’aveva trovata sul divano, imbruniva. Ma la finestra era spalancata, e tutto l’incanto del cielo vespertino, sul cui oro pallido pareva si fossero sciolte delle rose porpuree, inondava le pareti, la stoffa del divano, e le corsie di panno giallo ricamate.

Mikela entrò silenziosamente. Quando si voltò per chiudere la porta rossa, don Evéno balzò in piedi, con una mossa strana, ma rapidamente si ricompose. Mikela si mise davanti; fra lui e la gran luce radiosa della finestra. Così il suo viso pallido restò nell’ombra, ma i suoi capelli, attortigliati signorilmente sulla nuca, splendettero intorno alla sua testina vezzosa. E il suo corsetto verde riflettè l’oro roseo del cielo come l’acqua di uno stagno.

— Mikela, — disse don Eveno, — Tu sai perchè sono andato a casa tua. Abbiamo combinato ogni cosa. Tua madre è contentissima. Ma capirai che bisogna aspettar quì finchè sposerete.....

— Dio mio... — gemè Mikela, — cosa vuol dir ciò? Come mia madre può esser contenta?

Ma don Evéno non le badò, e continuava:

— Io farò tutto il possibile per contentarti. Tu mi dirai ciò che devo fare. Mi