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don eveno | 93 |
vano di pulizia, le cortine, lavate, stavan sempre abbassate, e le serve non vociavano più. Che faceva Mikela, durante quelle lunghe giornate? Le vicine non riescivano ad immaginarselo, e guardavano sempre invano traverso i vetri nitidi e chiusi.
Ma Evéno restava meravigliato della prudenza e dei modi di Mikela.
Nelle ore in cui restava in casa, scrivendo la sua colossale opera scientifica e folklorica sulle medicine popolari sarde e le loro derivazioni, veniva invaso da un profondo senso di pace, sino allora sconosciutogli.
L’ordine più preciso regnava intorno: dalle larghe vetriate la luce d’autunno, così calma nella sua leggera tristezza, entrava pallida e dolce, e nessun rumore turbava il signorile silenzio della casa.
Chi aveva recato tant’ordine e tanto silenzio? Non certamente la morte di donna Maria.
Evéno pensava al passato procelloso come ad un cattivo sogno, e il placido presente lo immergeva in uno stupore voluttuoso, e provava la dolcezza del riposo in tutte le membra stanche.
Certo, non aveva più sogni per l’avvenire, e da lungo tempo anzi aveva cessato