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lare regnò tra loro. Don Evéno disprezzava le donne, e sua nipote era nel gran numero fatale, e la teoria dell’eccezione non esisteva punto per il dottore. Mikela pensava al suo sogno distrutto per chi sa quanto tempo ancora, e nelle ore di tristezza provava per lo zio tutt’altro che affetto.

Così pensò, dopo aver ricevuto una lettera:

— Io farò il mio dovere; gli guarderò la casa e darò a lui ogni cura; ma devo perciò sacrificargli tutto il mio avvenire?

E rispose alla lettera.

Benchè Fidele dicesse che Mikela era una sciocca, l’esile fanciulla custodiva assai bene la casa dello zio.

Sotto l’epidermide pallida e trasparente di Mikela esistevano dei nervi d’acciaio; le sue manine delicate chiudevano a doppio giro le porte della casa, e i suoi grandi occhi oscuri vedevano ogni cosa.

Aveva vent’anni e rideva poco. Dava ordini precisi, ma in modo cortese e penetrante, e menava una vita chiusa, silenziosa e monotona.

Le vicine del dottore guardavano sempre alle finestre del palazzo, ma non vedevano mai la nuova padrona.

Dacchè era venuta lei i vetri splende-