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a fare la domanda perchè forse informato da qualche maligno della relazione di Annarosa col figlio del fabbro, e si faceva anche lei triste, più severa del solito; e Annarosa sentiva tutto il peso di questa tristezza, di questa diffidenza, e aspettava la domanda di matrimonio come il carcerato colpevole e confesso aspetta la sua condanna: almeno tutto sarà finito e ci si rassegnerà. Ma come anche in fondo al cuore del colpevole c’è la speranza del miracolo dell’assoluzione, così in fondo ella sperava in qualche cosa di straordinario che impedisse a Stefano di fare la domanda.
Nulla però accadeva; i giorni passavano eguali; anche Gioele non dava segno di vita. Annarosa non cessava di pensare a lui, e si sentiva sempre fitte nel cuore le parole dell’ultima lettera; a volte si sorprendeva ad aspettarlo dietro i vetri, o correva ad aprire la porta, se qualcuno picchiava, con la speranza e la paura che fosse lui; ma anche con la paura e la speranza che fosse zio Predu.
Un giorno che il fabbro venne per accomodare un ferro del portone, ella gli si avvicinò, con la speranza angosciosa ch’egli parlasse di Gioele. L’uomo però lavorava in silenzio, senza badare a lei: