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fondo alla cucina, e per una botola aperta penetrò nella camera nuziale dei contadini.
La malata, stesa sull’alto letto di legno che quasi sfiorava il basso soffitto di canne, rantolava lievemente, ma con un rantolo stanco, rassegnato. E una rassegnazione triste era in tutto il suo aspetto maschio, nel viso scarno, legnoso, nelle grandi mani nere abbandonate una di qua una di là sul lenzuolo grigio.
Nel vedere Mikedda che si protendeva sul letto e le offriva un’arancia, spalancò gli occhi, duri, come di pietra verdognola.
— Acqua, — mormorò.
E Mikedda, sebbene sapesse che era proibito di darle da bere, versò in una scodella l’acqua della brocca, presto presto, perchè si sentiva un passo che saliva su per la scaletta. Entrò subito dopo infatti una vicina di casa che di tanto in tanto dava un’occhiata alla malata.
— Malanno alle tue viscere! tu la vuoi uccidere! — gridò togliendo di mano a Mikedda la scodella già vuota; poi la spinse per le spalle e la cacciò giù per la botola. E la ragazza andò giù stordita, pensando che tutti, facesse bene o male, tutti la maltrattavano. Le venne da piangere. Stette un momento presso il focolare, movendo coi piede i tizzoni spenti; e le pareva che