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darle senza parlare. Annarosa non osava volgersi verso di lui, ma lo sentiva lì, grave, alle sue spalle, e contava i minuti per andarsene. L’idea di dover venire un giorno ad abitare in quella casa, che pure non era molto diversa dalla sua, le dava un senso di pesantezza alla testa, una disperazione che le faceva apparire la sua vita tutta eguale a quel momento di sospensione angosciosa.
Per confortarsi guardava la malata: la vedeva, corta e grossa sotto la coperta, con la testa forte fra i capelli ancora neri, muover le labbra violacee e di tanto in tanto sbatter le corte ciglia sotto le palpebre abbassate come spiasse cosa accadeva intorno: e le pareva che col suo corpo robusto potesse resistere al male e salvarsi.
D’improvviso si sentì chiamare da lei: le accorse subito accanto; ma un colpo di tosse gonfiò il viso di zia Paschedda e le impedì di continuare a parlare: solo, con la mano agitata accennava a qualche cosa, finchè, non riuscendo a farsi capire in altro modo, afferrò la mano di Annarosa e la introdusse sotto al guanciale.
E sotto il guanciale Annarosa toccò un mazzo di chiavi, che pareva fossero state al fuoco tanto erano calde: e intese che