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di lei si spandeva nell’aria mite, le diede quasi un senso di rimorso: ma rientrando a casa trovò la serva dei Mura venuta ad avvertire che la padrona s’era improvvisamente aggravata e desiderava di vedere anche lei.

E anche lei dovette andare. Aveva come l’impressione di un cattivo sogno: camminava a fianco della matrigna silenziosa e le pareva che la casa di Stefano fosse lontana, in fondo ad un bosco, in un luogo triste e solitario. E invero le straducole che bisognava attraversare per arrivarci, strette fra casette di pietra, parevano nel grigiore della sera fattasi nebbiosa, sentieri tagliati fra roccie e macchie.

Il cortile buio di zio Predu, circondato di tettoie, l’ingresso della casa lastricato di pietre, la grande cucina con le pareti scure arrossate dal chiarore del fuoco, non distruggevano quest’impressione penosa.

La malata giaceva in una camera bassa, mal rischiarata da un piccolo lume ad olio. Qualcuno stava seduto sopra una cassa antica, come a custodia di un tesoro, col viso nell’ombra. Stefano, pallido e triste, entrò da un’altra camera, salutò le donne, poi appoggiò i gomiti sul cassettone e, col viso fra le mani, stette a guar-