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faceva sempre, gli cedette. Gavino che s’era impossessato della scranna e della canna della nonna, batteva i tacchi sulla pietra del focolare, parlando con Mikedda di morti e di fantasmi.

— Speriamo che zia Paschedda muoia una notte quando il padroncino Agostino è in casa, — disse la serva. — Io ho sentito raccontare una volta, da una zia vecchia, che prima di andarsene i morti passano a far visita ai loro parenti. Sì, questa zia vecchia dice che stava una sera accanto al fuoco, ed ecco viene a trovarla un suo cugino, un pastore che viveva sempre nell’ovile. Ebbene, che nuove, cugino mio? Eh, nuove vecchie, cugina mia: le vacche hanno figliato e si comincia a mungere il latte. E così parlano, a lungo: finchè lui se ne va. L’indomani questa zia vecchia viene a sapere che il cugino era morto quella stessa notte.

Gavino sogghignava tra l’incredulo e lo spaurito; d’un tratto si volse guardando verso la cucina buia.

— Eccola che viene, zia Paschedda.

E la serva diede un grido: allora zio Juanniccu credette bene d’intervenire; gli sembrò di poter fare un discorso energico per correggere la superstizione della ragazza e, nello stesso tempo, far intendere