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rava il cuore come un uncino da pesca. Era con quella nota che Gioele, fin dalla loro prima adolescenza, le aveva fatto capire di amarla. Lei lo amava già, così, perchè era il solo ragazzo estraneo col quale aveva contatto; così, perchè non si può vivere senza amare, e la donna nasce con l’amore nel cuore come la rosa col suo colore.

Un giorno Mikedda le aveva portato una lettera di Gioele. Ella s’era sdegnata; poi aveva risposto.

— Annarosa, — chiamò di nuovo la nonna.

— Sì, ho risposto, — ella disse fra sè, come terminando un discorso con sè stessa. — E ci siamo parlati, e ci siamo amati. Ma la speranza di sposarlo, no, mai gliel’ho data. E nessuna promessa. So chi è lui e chi sono io. E adesso bisogna finirla. Sì, nonna, lo so, bisogna finirla.

Tornò nella stanza da pranzo. La servetta e Gavino erano andati a portare qualche cosa alla moglie del contadino: ecco la nonna di nuovo sola, immobile nella stanza già scura, con l’aureola della fiamma intorno alla figura nera. Annarosa la guardò intenerita. Dopo tutto la nonna era la cosa più sacra, per lei, la colonna più ferma della sua vita. Le parole della