Pagina:Deledda - L'incendio nell'oliveto,1821.djvu/260


— 252 —

supplichevoli come quelli d’un prigioniero che prega di venir liberato.

Aspettava, la nonna; non parlava, ma aspettava; e Annarosa sentiva quell’attesa e se ne irritava, eppure aspettava anche lei, ma non sapeva, non voleva sapere che cosa.

L’inquietudine evidente cominciò nel pomeriggio: un pomeriggio caldo, agitato da un forte vento di levante che saliva dalla valle, investiva Torto torcendone ogni stelo e invadeva la casa con le sue ondate ardenti.

I piccoli vetri delle finestre aperte tremolavano riflettendo il verde tormentato dell’orto: riverberi dorati oscillavano sulle pareti. Dopo la quiete triste del mattino un tremito pareva agitasse la casa; e la nonna d’un tratto si scosse, riafferrò la canna, chiamò Mikedda. Mikedda le si inginocchiò davanti come una schiava. Non aveva ancora trasgredito l’ordine della padrona piccola, Mikedda, di non raccontare ad altri quanto sapeva, ma il segreto l’agitava tutta, e partecipava anche lei al dramma di famiglia, indovinando tutto, aspettando anche lei la soluzione.

— Ascolta, — disse la vecchia padrona, — il tuo impiastro è in paese?