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— Tu, almeno, vorrai dire perchè lo hai fatto.

La sua voce tremava, adesso, ma era umile; domandava e non imponeva.

— Ebbene, — disse Annarosa, sollevando il viso a guardarla, — ho fatto così perchè la coscienza mi ordinava di farlo. Io non gli voglio bene, — aggiunse reclinando il viso, vinta dall’atteggiamento fermo della matrigna.

— Sciocchezze, Annarosa. È un capriccio che ti passerà.

E la nonna sospirò, sollevata; sospirò così forte che Annarosa balzò, col cuore gonfio di ribellione, portata ancora via dal soffio del suo orgoglio.

— Un capriccio! Sì, tutto è capriccio, in questa casa, tutto, anche le cose più serie. Anche la verità. E sia pure un capriccio. Io non voglio sposare Stefano.

— Dovevi pensarci prima.

— Come potevo pensarci, se non me lo permettevate? Era una cosa decisa, anche senza il mio consenso. Contavo, io? Ero come una sciocca, d’altronde: credevo di poterlo davvero sposare, così, per interesse, per obbedienza alla famiglia. Adesso, no, adesso no; non voglio più.

Allora la nonna impose alla nuora: