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sulla veste. Ella la prese e le aprì la scorza verdiccia, col desiderio crudele di spezzarla: sotto le vide il merletto iridato delle ali chiuse, la filigrana di corallo rosa delle zampe; e le parve che gli occhi fermi dell’animaletto s’ingrandissero spauriti per il rapido passaggio dall’amore al dolore.

Allora la buttò lontano e si rimise giù.

A poco a poco la dolcezza delle cose esterne vinceva la sua pena. Le sembrava di essere ancora bambina quando, stanca di aver pianto per qualche castigo subìto, si buttava sull’erba e strappava le ali alle farfalle, masticando gli acri riccioli della vite, o tentando di aprire con la bocca senza spiccarla dalla pianta la buccia vellutata d’una fava.

Ancora come in quel tempo il vento lieve le portava le voci lontane della valle, e il gemito del suo cuore si confondeva col ronzìo degli insetti e col mormorare delle foglie; e un velo di sonno, chiaro e molle come quello che le madri stendono sulla culla dei loro bambini, coprì il suo dolore.