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ma punzecchiava con rabbia il cane; finchè l’animale si sollevò impazientito, e abbaiando e facendo qualche giro intorno a sè stesso andò ad accovacciarsi più lontano. Poi di nuovo fu silenzio: anche i buoi sotto la tettoja avevano cessato di ruminare, e la facciata della casa, le stelle sul comignolo e i tegoli che si sporgevano dai tetti, ogni cosa pareva spiare aspettando la fine del colloquio.

— Sì, la voglio, — ripetè Stefano, come riaffermando la cosa a sè stesso. — E se lei non vorrà essere la prima a parlarmi dello stupido incidente di questa sera, io non sarò il primo a parlargliene.

Allora il padre si alzò, grande, grave, e gli si mise davanti: ed egli ricordò istintivamente certi suoi terrori infantili quando per esempio il maestro mandava a dire a casa di non averlo veduto a scuola, e il padre gli si ergeva davanti minaccioso come una nuvola che sorge d’improvviso all’orizzonte; e lo travolgeva, lo atterrava con la tempesta delle sue percosse.

— E io ti dico che fai male, Stefene! Pare che tu abbia paura di te. Ebbene, io ti ripeto per l’ultima volta che devi parlare chiaro ad Annarosa. Se sei sicuro di te e di lei, come fai intendere, tanto