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si riacquista più. E un giorno mi rinfaccerai anche questo. E dunque se ho sbagliato nel fare di te un figlio obbediente e rispettoso, quest’altro errore, adesso, di lasciarti legare per la vita a una donna che tu dici che ti hanno imposto, quest’altro errore non lo voglio commettere.

Stefano balzò in piedi; parve volesse andarsene, ma poi cominciò a camminare intorno al cortile, con passo cadenzato, come una sentinella in uno spalto.

No, suo padre non capiva, non poteva capire. E col pretesto di fargli del bene gli usava violenza. Sempre così era stato. Da bambino Stefano non aveva voglia dì studiare. Ricordava di avere fino a dieci anni indossato il costume, e si rivedeva in quello stesso cortile, sotto quelle tettoie, a giocare col cane, ad arrampicarsi sui cavalli, e farsi costrurre dai servi dei piccoli carri paesani: il suo sogno era di andare col padre all’ovile, di perdersi nella libertà della tanca, di fare la vita del pastore. Lo avevano costretto a studiare, per vanità, per fare di lui un borghese, un laureato. Lo avevano spogliato del costume, e mandato in una grande città. Aveva provato tutte le noie e là tristezza delle piccole camere d’affitto, lo spostamento del paesano buttato fra le