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vecchi o giovani che siano, avvocati o pastori, padri o figli, non importa niente.

— Importa a me, — ribattè Stefano, senza mutare tono, ma fermo, incrollabile nella sua stessa umiltà, — e non ho bisogno di tre giorni e neppure di tre ore per interrogare la mia coscienza. Essa è davanti alla vostra, ma non si possono intendere le nostre coscienze, perchè troppo diverse e lontane.

Il padre si alzò, duro e pesante. Fece un passo, poi tornò a sedersi.

— Ascoltami, Stefene, delle cose che tu mi dici io ne capisco ben poco. Sono ignorante. Ma una cosa ti dico, che non bisogna scherzare con la tentazione. La tentazione è come il gatto col topo: giocherà e magari fingerà di abbandonarti, ma ti abbandonerà per poco, poi ti aggranferà più forte. Lascia dunque che la districhi io questa matassa. Troppo mi hai rimproverato d’esserne la prima causa io. La responsabilità dunque è mia.

— È mia, — disse Stefano, tendendo la mano come per riafferrare una cosa che gli venisse tolta. — È inutile insistere, babbo: io vi rispetto, ma rispetto anche me stesso.

— Pensaci bene, Stefene! Pensa anche alla tua libertà. Una volta perduta non