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due piani con le finestre piccole senza persiane: due tettoje di travi e di tegole nerastre ne fiancheggiavano i lati, di qua e di là della casa, come due grandi ali spiegate; sotto una di esse si sentiva il ruminare dei cavalli e il russare dei maiali addormentati: dall’altra era balzato un grosso cane lanoso e caldo che si fregava contro le gambe di Stefano e lo guardava con gli occhi luccicanti nell’ombra.
— Stefano, devo parlarti, — disse zio Predu; e si diresse al posto ove soleva passare le ore belle della giornata per ricevere le visite dei vecchi amici e dei paesani che venivano a chiedergli consiglio e aiuto. Era un angolo ben riparato, fra il portone e la tettoja destra, con un sedile di pietra ombreggiato dal fico: un angolo ben riparato, dove si poteva parlare liberamente senza essere ascoltati o spiati.
Sedette, battè di nuovo il bastone per terra, più volte, come tastando il selciato; parve trovare il punto fermo dove appoggiarsi bene, e allora sollevò il viso, guardò, al disopra del frastaglio nero del fico e del profilo delle tettoje, il quadrato di cielo fitto di stelle.
Stefano gli sedette accanto: aveva l’impressione che la facciata pallida della