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Curva sul pavimento, Mikedda guardava di sfuggita verso la stanza attigua e aveva una strana paura ad avvicinarsi alla vecchia padrona; le pareva che la vecchia padrona avesse la sua sorte nel pugno.

— Se lei ha detto di sì è come mi abbia sposato il sacerdote, — pensava.

Ma invece di rallegrarsi, ora che il suo sogno poteva dirsi compiuto, sentiva una tristezza oscura: pensava che una volta legata, una donna non si può sciogliere più se non con la morte; e che zio Taneddu, sebbene piccolo, era, in fatto d’onore, grande e forte come il gigante Golia.

Almeno qualcuno avesse protestato per il loro matrimonio; almeno qualcuno avesse dato un solo segno di gelosia! Nulla. I padroni coi padroni, i servi coi servi.

S’avvicinò esitando al camino, e cominciò a passarsi sul dorso della mano destra la palma della sinistra come quando aveva i geloni.

— Ebbene, — disse la vecchia padrona — anche questa mi tocca di fare; la paraninfa. Tu sei contenta?

— Se sono contenti i miei padroni sono contenta anch’io.